"My vocalese fun fair" review
My Vocalese Fun Fair
Giorgio Tuma
Elefant Records
Una cosa è azzeccare un plotoncino di belle melodie. Un'altra è allestire una calligrafia, un ambiente, un mood ben definiti. Altro ancora è riuscire a fare entrambe le cose. Eh sì: con My Vocalese Fun Fair il salentino Giorgio Tuma mette a segno uno di quei dischi capaci di segnare una carriera. Già l'album di debutto Uncolored (Amico Immaginario, 2005) lasciava intuire la qui presente straordinaria capacità di impastare languori bossa, morbidezze folk, suffumigi cosmic-pop e stregonerie jazz-soul come se, abitandogli tutti assieme in qualche stanzetta del cuore, fosse la cosa più naturale del mondo.
Canzoni sbocciate senza sforzo apparente, che siano dei beat pastello avvampati Beach Boys (Saltamontes), dolciastri northern soul screziati di clavinet e flauto (Coney Island Memories), digressioni bucoliche come Clientele ipnotizzati Polyphonic Spree (Musical Express) oppure palpitazioni spacey tra fatamorgane beat (Astroland By Bus), sempre col tremolio bossa sullo sfondo, come vecchie istantanee vacanziere dai colori dileguati, con le allegrie dolciastre e gli incantesimi obliqui (Let’s Make The Stevens Cake!!!), coi pensosi miraggi da salotto (Dedicated To Timmy The Whale), gli spersi malanimi (ML DB) o la circense apprensione (Faye’s Flying Shoes).
E' un gioco accurato che prevede sapienti impasti vocali (tra cui quella seducente di Matilde De Rubertis, già Studiodavoli), pianoforti trepidi, organi e fisarmoniche all'occorrenza, più un costante disincanto che alleggerisce il senso di ossessione, così che mollezze e malanimi somiglino ad una spuma, tanto più effimera e burlona quanto più struggente e maliosa. Del resto, cosa attendersi da chi ha battezzato la propria backing band Os Tumantes? Invischiato com'è in un soffice immaginario vintage, viene spontaneo dire: un disco che crea un'atmosfera.
(7.4/10)
Stefano Solventi
Giorgio Tuma [Sentire Ascoltare]
picture: Archivo Elefant
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